mercoledì 15 ottobre 2008

E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più a tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? E' davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via? Perché condannarci a conservarne solo una traccia che sbiadirà fino a essere solo il ricordo di una traccia... [...] In nome di quale principio, questo scempio? Unicamente perché i professori di una volta erano noti per farci recitare poesie spesso idiote e perché agli occhi di alcuni vecchi rimbambiti la memoria era più un muscolo da allenare che una biblioteca da arricchire? Ah! Quelle poesie settimanali di cui non capivamo nulla, ognuna delle quali prendeva il posto della precedente, come se ci esercitassero soprattutto all'oblio! C'è da chiedersi se i nostri professori ce le dessero perché le amavano o invece perché i loro maestri avevano ripetuto loro in continuazione che appartenevano al Pantheon delle Lettere Morte. Anche quelli, me ne hanno appioppati di zero! E ore di punizione! "Tanto per cambiare, Pennacchioni, non abbiamo imparato il testo a memoria!" Ma sì, signor maestro, ancora ieri la sapevo, l'ho recitata a mio fratello, solo che ieri sera era una poesia, ma lei stamattina si aspetta un testo a memoria, e questo trabocchetto mi blocca.
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Imparando a memoria, non supplisco a nulla, aggiungo a tutto.
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"Ma come, professor Pennacchioni, fa studiare i testi a memoria? Mio figlio non è più un bambino!". Suo figlio, cara signora, sarà sempre un bambino, un figlio della lingua, e anche lei un piccolo bebè, e io un ridicolo marmocchio, e tutti quanti noi minutaglia trascinata dal grande fiume scaturito dalla sorgente orale delle Lettere, e suo figlio vorrà sapere in quale lingua nuota, che cosa lo tiene a galla, lo disseta e lo nutre, e vorrà farsi lui stesso portatore di tale bellezza, e con quale orgoglio!, gli piacerà tantissimo, dia retta a me, il gusto di quelle parole in bocca, i razzi illuminanti di quei pensieri nella testa, e scoprire le prodigiose capacità della sua memoria, la sua infinità duttilità, questa cassa di risonanza, il volume inaudito a cui far cantare le frasi più belle, riecheggiare le idee più chiare, andrà pazzo per questo nuoto sublinguistico quando avrà scoperto la grotta insaziabile della propria memoria, adorerà tuffarsi nella lingua, pescarvi i testi in profondità, e per tutta la sua vita saperli lì, costitutivi del suo essere, poterseli recitare all'improvviso, dirli a se stesso per sentire il sapore delle parole. Portatore di una tradizione scritta che per merito suo tornerà a essere orale, forse li reciterà a qualcun altro, per condividerli, per il gioco della seduzione, o per fare il saccente, è un rischio da correre. Così facendo si ricongiungerà con l'epoca che precede la scrittura, quando la sopravvivenza del pensiero dipendeva solo dalla nostra voce. Se lei la chiama regressione, io lo chiamo ricongiungimento! Il sapere è innanzitutto carnale. Le nostre orecchie e i nostri occhi lo captano, la nostra bocca lo trasmette, Certo, ci viene dai libri, ma i libri escono da noi. Fa rumore, un pensiero, e il piacere di leggere è un retaggio del bisogno di dire.

Daniel Pennac, da Diario di scuola