lunedì 16 luglio 2012




A due settimane dal mio ritorno (e a quattro giorni dal mio arrivo per il mio primo mese in Germania!), incrociando un po’ di volti amici sul mio cammino, mi ritrovo a tirare le fila di questi tre mesi vissuti in Giappone. Ricco di incontri, questo viaggio mi ha davvero aperta al mondo, alla realtà tutta – a guardarla con gli occhi spalancati, lasciandomi colpire da quello che c’è più che fermare dai miei pensieri. Il bene ricevuto da amici vecchi e nuovi mi ha insegnato ancor più a volermi bene, a perdonare i miei errori e i miei limiti, considerandoli piuttosto occasione per diventare più grande. Anche le mie preferenze e le mie capacità sono state esaltate – mi sono messa a pasticciare in cucina come non mai e per la prima volta, cantando per i miei amici, ho tirato fuori la voce senza vergogna. Nonostante le difficoltà e le incomprensioni, le domande su questa terra e sulla sua gente non mi lasciano tranquilla e mi spingono a continuare la mia ricerca. Quindi, non posso dire che adesso sia tutto più facile, ma vedo una strada per me. E una certezza più grande mi appartiene: “so che tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il Cielo ne sia lodato!) non è la nostra” (Miguel Mañara, Oscar Milosz).
---
Two weeks after my trip back to Italy and four days after my arrival to Germany, bumping into some friends, I’m looking at what the last three months in Japan bore. Full of encounters, this trip has really opened me up, making me look at reality with my eyes wide opened – letting myself be struck by things instead of get stuck in my thoughts. My new and old friends’ love has taught me to love me more, to forgive my mistakes and limitations – considering these as occasions to grow up. Also my abilities have been enhanced – I’ve cooked and baked as never before and, for the first time, sung for my friends without shame. In spite of difficulties and misunderstandings, my question about this land and its people don’t lay me off and make me continue my pursuit. So, I can’t say it’s easier now, but I can see a path for me. And I’m more confident that: “everything is where it should be and goes where it should go: to the place assigned by a wisdom that (thank heavens!) is not ours” (Miguel Mañara, Oscar Milosz).
---
二週前帰国して、四日前ドイツへ来たから、友達と話し合いながら、日本で三ヶ月生活したことについてよく考えています。多くの人と知り合いのおかげで、全世界に心を開くようになったと思います。自分の思考の枠を超えて、事実のすばらしさには驚いて、現実がよく見える機会がありました。新しい友達と以前からの友達にもらった愛は自分のことをもっと大切にして、間違いや欠点を許すのを教えてくれました。新しい料理を作ってみたり、恥ずかしくならないで歌ったりして、私の才能も伸ばしてきたと思います。難しくて分かりにくいところがあっても、日本と日本人について問題を解くように探求し続けたいのです。もっと易しくなってきたわけがありませんが、わが道が見えます。また、確信していることが一つあります:『全てはあるべきところにあり、行くべきところへ行くものであるとわかる。そしてその場所は人知のおよばない英知(讃えられんことを!)によって記されている。』(『Miguel Mañara』オスカル・ミロシュ)。


mercoledì 30 maggio 2012




Dopo quasi due mesi, posso dire di essermi abituata alla vita di Tokyo – anche se è bella impegnativa! Sono davvero contenta della possibilità quotidiana di scoprire qualcosa di nuovo; in particolare, sto conoscendo sempre più i giapponesi, anche se non potrò mai dire di capirli del tutto. Però, come dice il mio amico don Ambrogio, anche la persona amata rimarrà sempre un mistero; non per questo si smette di volerla conoscere e di preoccuparsene – anzi, lo si fa ancora di più! Forse che questo Giappone finirà per piacermi davvero?
Ad ogni modo, la cosa più difficile per me da capire è il concetto di “armonia”. Mi stupisce come i giapponesi cerchino di mantenerla in ogni situazione, ma per cosa? Mi capita spesso di notare come la perfezione della superficie nasconda un disordine profondo, e forse una vera e propria fobia per l’imprevisto. Se poi il ripristino dell’ordine può portare al suicidio (come testimoniato da secoli di storia e letteratura), c’è ancora tanto da scoprire, ancor più perché l’ideogramma di “armonia” (, wa) significa anche “Giappone”.
Due settimane fa mi è capitata una cosa bella – anche se può sembrare banale o stupida. Per la prima volta, nell’incontro con la mia nuova amica Yuko, ho visto la possibilità reale di condivisione con questa gente; non è più una cosa bella, “già saputa” e letta da qualche parte, ma una promessa che è già stata mantenuta.

---

After almost two months, I can say I got used to Tokyo’s life – even if it’s pretty demanding! I’m really glad to have the chance to discover something new every day. In particular, I’m slowly getting to know Japanese people, even if I’ll never understand them at all. As my friend Father Ambrogio says, though, also the beloved will always be a mystery to you. You will nevertheless keep on asking or worrying about him – quite the opposite, isn’t it? Maybe I’ll really end up liking Japan!
Anyway, the most difficult thing to me to understand is their idea of “harmony”. The effort the Japanese do in order to keep it amazes me. But I often notice that outward perfection hides untidiness, and maybe an actual fear of  unexpected. Furthermore, if restoring order can lead to suicide, I really want to find out more – also because the ideogram of “harmony” (, wa) means also “Japan”.
Two weeks ago, for the first time, thanks to the encounter with my new friend Yuko, I’ve seen the possibility of actually sharing my life with these people. It may sound trivial or even stupid, but to me it’s not something I heard or read about anymore: it’s a promise that has already been kept.

---

私は日本に着いたから、もうすぐ二ヶ月になります。東京の生活にもう大体慣れたと思いますが、本当にいい意味で疲れさせる日常です!毎日何か面白い物事を発見できるし、何か習えて大変嬉しいのです。特別に日本人の人をますます知れるようになることは重要です。実は、全部理解できるはずがありません。しかし、ある友達によると、恋人のことも決して理解できなくても、聞きたくなったり、気にかけたりする気持ちは止められないそうです。たぶん、あまり日本が好きではなかった私は日本が気に入ってしまったのでしょうか。
とにかく、一番分かりにくいことは『和』という歓念です。日本人の人は全ての状況に秩序を保つようにしていることは感心します。それでも、外観上は物事は完璧そうですが、現実は片付いていません。それに、そのようにして、人々は思いがけないことが怖いだろうと思います。最後に、秩序を回復したら、誰か自殺することになるのは私に不可解です。もっとも『和』という言葉は『日本』という意味もありますので、ぜひ理解できるように求め続けたいのです。
ところで、二週前にすてきなことがありました。新しい友達の裕子さんとの出会いのおかげで、初めて日本人の人と自分の生活を分かち合える体験をしたことです。前は、考え方は全然違いますから、あまり信じていませんでした。今は、日本人の人と友達になりながら、その可能性が見えるようになってきました。

giovedì 10 maggio 2012


 
[…] Per quanto così estranee dal punto di vista geografico e anche storico siano le nostre origini, nessuna lontananza, nessuna diversità può creare tra noi una estraneità totale: siamo tutti uomini.
C'è una unità tra noi di umana esistenza. […] La prima cosa, guardando il cielo e la terra e tutto, la prima cosa che colpisce, è che nessun uomo è isolato. Non si può concepire l'esistenza da sola: si può concepire una cosa da sola, ma non si può concepire l'esistenza di una cosa da sola.
Da quel poco che so della vostra storia culturale, questo mi sembra un valore molto sentito. Sto parlando di quella armonia totale, di quella unità tra tutte le cose per cui ad ogni cosa è possibile vivere. […]
È impossibile trovare una così perfetta espressione del nesso tra tutte le cose, anche se sono sconosciute. Ma questa armonia grande e totale, questa unità tra tutte le cose è come se avesse un senso misterioso per la mia vita. Io non so che cosa significhi per la mia goccia tutto questo mare. La tradizione spirituale in cui io sono cresciuto mi ha detto che questa armonia grande e misteriosa ha una voce. Questo è il punto più importante del pensare umano, perché il rapporto con questa armonia totale è il mio destino. Questa totalità, questa armonia ha una voce: qual è? È una voce uguale per me, per un giapponese, per l'uomo di ventimila anni fa, per l'uomo tra un milione di secoli: è uguale.
Una donna, mettendo al mondo un figlio, gli dà una struttura per cui si capisce che è un uomo. Ogni uomo che nasce dal ventre di una donna porta una faccia, una struttura interiore uguale. […]
La voce dell'universo, del tutto di cui noi siamo piccola, infinitesima parte, questa voce è il cuore dell'uomo.
Guardando le stelle o il mare, innamorandosi di una donna, guardando con tenerezza i figli, animosamente cercando di conoscere la natura e di usarla, l'uomo di tutti i tempi, di tutte le razze cerca la felicità: quello che è vero, quello che è giusto, quello che è bello. I nostri filosofi antichi dicevano: «Cerca l'essere». Qualunque cosa l'uomo veda nell'universo, nella realtà, gli suscita il desiderio della bellezza, della bontà, della giustizia, della felicità. Questa è la voce che l'universo, la totalità realizza: si chiama "cuore" dell'uomo.
Allora la grande alternativa culturale ed esistenziale è chiara: o questa voce è senza senso, senza realtà e il cuore dell'uomo non c'è, o tutto ha senso per il cuore dell'uomo. La nostra voce canta per un perché e la nostra lotta, se così si può dire, è per destare e per sostenere negli uomini il senso della positività ultima della vita e del cuore. È per questo rapporto ultimo, è per questo destino ultimo di felicità che l'uomo, consciamente o no, vive. È per questo sentimento ultimo di una giustizia reale che l'uomo può sostenere la fatica di oggi. Senza questa ipotesi sarebbe ingiusto far nascere.
[…] non è concepibile la vita cosciente, consapevole se non in funzione di un valore, cioè di un destino per la propria esistenza, per il proprio cuore, per i propri desideri. Perché tutto il resto è surrogato alla felicità che il cuore desidera, perché il matrimonio può essere indovinato, fortunato, ma ha un suo termine e anche l'innamoramento più buono, più bello può finire in una terribile tentazione di noia oppure in una delusione, in una fine piena di delusione. […] Perché tutto è così sospeso all'imprevedibile ed è un grande enigma ciò a cui apparteniamo; e sia benvenuto il lavoro, perché non ci lascia troppo tempo per pensare!
Ma un uomo può domandare: «Perché lavoro?», e la risposta sarà sociale. Ma: «E io e il mio cuore?». Per questo la persona che io venero, Gesù, diceva: «Che importa se tu ti prendi tutto quello che vuoi e poi perdi il senso di te stesso?» o: «Che darà l'uomo in cambio di se stesso?». Io credo che la cosa più grande nella nostra vita siano i valori. Ma che cos'è un valore? Un valore è il nesso, il rapporto fra la mia persona impegnata nella vita in un'azione e il suo destino. […] Quanto più grande è questo sentimento dignitoso di me stesso tanto più cercherò di servire gli altri, la società. Ma tutta la vita della società è per la persona, per me, perché io cammini verso il mio destino. La società è un destino effimero nel tempo della storia, ma io sono rapporto con l'infinito, con l'eterno, col tutto. […] Io credo che tutta la mia emozione e commozione per la mia tradizione cristiana sia dovuta a questa scoperta che mi ha fatto fare dell'uomo, del valore del singolo nel quale sta la radice e il fondamento di una pace sociale, di una pace fra tutti.

[…] Un altro scrittore della vostra letteratura dice: «Se devo ancora rimanere in questo mondo travagliato, che mi sia amica solo la luna che splende sulla mia tristezza quando tutti gli amici sono andati via». Ma se tutto se ne va, non basta dire: «È così», perché il cuore dell'uomo esige che non sia così. La ragione è una coscienza della realtà secondo tutte le sfumature della realtà; e se è una realtà la morte degli amici e di sé, è una realtà in noi l'esigenza della felicità e della permanenza. Dice un poeta norvegese, il premio Nobel Pär Lagerkvist, in una sua poesia: «Non c'è nessuno che oda la voce implorante nelle tenebre, ma perché la voce esiste?». Dunque, la negazione lascia intatta la realtà della domanda, la risposta negativa non è adeguata alla realtà, la realtà deborda, è più grande. E la realtà del mio cuore e la ragione, per mantenersi tale, deve accettare questo. Non si può identificare la ragione con una depressione dell'animo che dice: «Ah, non c'è più niente». Questa è psicosi, questa è patologia. Certo, occorre il coraggio di affermare tutta la natura come si manifesta nel cuore, in un cuore educato, richiamato, ma lo vediamo tra poco.
Che cosa aiuta di più a capire il cuore che ho, il mio cuore di uomo? Perdonate: il presente di che cosa è ricco? Il presente è come un niente, la ricchezza del presente viene dal passato, si chiama tradizione. Il culto degli antenati è una delle espressioni più grandi, più potenti della umanità.
[…] la rottura con la tradizione, la rottura col passato, è la rottura col proprio cuore. A chi serve? Chi ha interesse a rompere col passato e quindi a strappare la memoria? C'è un grandissimo scrittore, il più grande scrittore odierno, Solzenicyn, che in tutti i suoi grandi romanzi afferma una idea fondamentale. Parla del suo popolo russo e dice testualmente: «È diventata gente senza memoria». Un popolo che abbia perso la memoria è un popolo vuoto che non sa più parlare tra di sé, e per questo Solzenicyn parla di «generazioni mute». […]La ricchezza del presente è la grande memoria. Chi ha interesse a cancellarla? Per affrontare il presente occorre un criterio e un criterio ti viene dalla saggezza del passato, altrimenti come si chiama? Si chiama reazione, istintività: si reagisce, si è istintivi nelle risposte e basta. Chi ha interesse che l'uomo agisca per istinto, per reazione e non alla luce di un'ipotesi saggia? Si chiama potere, è il potere. Il potere è una grande cosa se è a servizio. A servizio di che? Della gente, delle persone. Ma il potere, quando agisce per affermare una sua ideologia e un suo concetto delle cose ha bisogno che la gente sia il più possibile istintiva, il più possibile reattiva. Perché? Perché attraverso gli strumenti di influsso, cioè attraverso i mass media e la scuola obbligatoria, fa passare la sua ideologia. E questa schiavitù o alienazione - da noi così si dice - crea un ideale di vita che si chiama "comodo". Si crede di far così un piacere ai giovani, la gioventù ci sta, ma diventa disperata e violenta, perché l'uomo è fatto per l'armonia totale.
Ma come raggiungere questo rapporto, come vivere questa armonia totale, se essa è così misteriosa, se sembra così contraddittoria? Perché fragile e contraddittoria è quella sua voce che è il cuore dell'uomo. Io credo, per esperienza fatta, che niente corrisponda di più all'animo non solo del giovane, ma dell'uomo che vive, che concepire la vita come un cammino.
Un cammino ragionevole, umano, ha due fattori chiari. Primo: la certezza della positività finale della vita, perché la natura la grida. Senza questa positività sarebbe giusta la violenza del potere, provvisorio o no, e il cinismo della vita pratica, cioè la disumanità. E, secondo, il fatto che io non ho ancora raggiunto questo destino certo. Anche se non lo conosco, però io tendo come posso, cercando di aderire ai suggerimenti buoni della mia esistenza e perdonandomi continuamente gli errori che compio mille volte al giorno. Una certezza e un'indomabile tensione: questa è la moralità. Che cosa esprime questa tensione morale alla certezza, alla positività certa ma ignota e a questa ben nota fragilità che però non si lascia mai abbattere? Si chiama domanda, si chiama mendicare, mendicare il destino, chiunque esso sia, perché debbo ben usare una parola per rivolgermi a questa totalità e la parola più grande che ho è "tu": tu, destino, chiunque tu sia, io ti invoco, io ti chiedo. La domanda è l'espressione razionale suprema. Noi cristiani la chiamiamo preghiera, ma l'essenza di quella che chiamiamo preghiera è la domanda che il Mistero venga.
Che cosa mi può aiutare a sostenere, a far prevalere la domanda sullo scetticismo caratteristico dell'istintività e della reattività? L'istintivo e il reattivo, infatti, sono scettici. Lo scettico non si impegna con la vita, si impegna con quel che sente. Chi sente la vita come domanda del Mistero, come domanda al Mistero che venga, al destino che venga, allora si impegna con tutto, anche col particolare piccolo. Per questo ancora Gesù diceva: «Ha un valore eterno anche una parola detta per scherzo». E diceva ancora che ha un valore eterno anche il più piccolo fiore del campo. Ma chi mi aiuterà a rendere la mia vita domanda del Mistero invece che deludermi, lasciarmi deludere nello scetticismo più bieco e comodo? Io conosco una sola risposta: una compagnia. Una compagnia di persone che sentano questo e si aiutino. Questa è l'unica, vera amicizia. Essere insieme di fronte al destino. Questo dovrebbe essere il significato dell'uomo e della donna: non l'illusorio innamoramento che i giovani sognano e in cui identificano una cosa così grande, ma l'essere sulla stessa via verso il comune destino, richiamandoci dal sonno, richiamandoci dalla distrazione, non lasciandoci soffocare nella nostra meschinità o viltà. Il mondo è come una penombra: se uno volta le spalle alla luce, dice: «Tutto è nero». Se uno volta le spalle all'oscurità, dice: «Siamo all'inizio della luce». Questo è la vita, il mondo. È una decisione o una opzione della libertà mettersi con le spalle alla luce o aprirsi alla luce. Ma non è uguale a scelta. Uno non può scegliere quel che vuole. Perché una delle due scelte è irrazionale e ingiusta. La penombra vuol dire che la luce c'è. Non si può dire: «Non è chiaro: tutto, dunque, tutto è tenebra». Per chi ha sentito per un istante il desiderio della gioia, è un delitto se si dice che il mondo è negativo. L'istante di gioia è come una sorgente di domanda all'infinito. La compagnia ti sostiene in questo. La compagnia è una condizione essenziale perché la persona sia se stessa. La compagnia è come la terra dove il seme diventa pianta. La compagnia non sostituisce, rende possibile. Per questo il potere che odia, che ha paura della tradizione saggia, è un potere che sempre ha paura di coloro che si mettono in compagnia per camminare verso il destino.
Mi perdonino, ma quella voce dell'universo, della realtà tutta di cui ho detto che appare e si fa sentire nel cuore dell'uomo, nella mia tradizione, cioè dal mio passato, mi ha raggiunto la notizia che si è fatta un uomo, così che c'è questa Presenza che è compagnia del cuore. Che la totalità, il mistero della totalità sia diventato uno come me e mi accompagni e il cuore si appoggi, debbo ammettere, debbo riconoscere che è una cosa commovente e grande. Mi sembra un'immaginazione o una ipotesi la più grande a pensarsi. Mi perdonate quest'ultima testimonianza, ma non importa la via purché sia via, compiuta insieme con sincerità di cuore. E grazie di tutto.
[…]

Appunti dalla conferenza di Luigi Giussani tenuta nel contesto della settimana culturale dedicata all'Italia, organizzata dal Centro culturale internazionale di Nagoya (Giappone), il 27 giugno 1987

---

[…] However foreign your origins may be from the geographical and even historical point of view, no distance, no diversity can create a total foreignness between us: we are all men.
Between us there is a unity of human existence. […] The first thing that strikes one, on looking at the skies and the earth and everything, is that no man is isolated. Existence in isolation cannot be conceived: one can conceive something on its own, but not the existence of something on its own.
From the little I know of your cultural history, this seems to be a value that is felt very much. I am speaking of that harmony, that unity amongst all things thanks to which it is possible for all things to live. […]
It is impossible to find such a perfect expression of the nexus between all things, though they are unknown. But this great and total harmony, this unity amongst all things seems to have a mysterious meaning for my life. I don’t know what all this sea means for my little drop. The spiritual tradition in which I grew told me that this great and mysterious harmony has a voice. This is the most important point of human thought, because the relationship with this total harmony is my destiny. This whole, this harmony has a voice: what is it? It is a voice that is the same for me, for a Japanese, for a man of twenty million years ago, for a man a million centuries in the future: it’s the same.
When a woman brings a child into the world, she gives it a structure by which you understand it is a man. Every man that is born from a woman’s womb has a face, the same interior structure. […]
The voice of the universe, of all of which we are a small, infinitesimal part, this voice is the heart of man.
When he looks at the stars or the sea, when he falls in love with a woman, when he looks tenderly at his children, when he strives to know nature and to use it, man of all ages, of all races is reaching for happiness: what is true, what is just, what is beautiful. Our ancient philosophers used to say: “Search for being”. Whatever man sees in the universe, in reality, arouses him desire of beauty, for goodness, for justice, for happiness. This is the voice which the universe, the whole realises: it is called man’s “heart”. So the great cultural and existential alternative is clear: either this voice has no meaning, is not real and man’s heart does not exist, or everything has a meaning for man’s heart. Our voice sings with a reason and our struggle, if you can call it that, is for awakening and sustaining  in men the sense of the ultimate positivity of life and of the heart. It is for this ultimate relationship, for this ultimate destiny of happiness that man lives , whether consciously or not. It is for this ultimate feeling of a real justice that man can endure today’s toil. Without this hypothesis it would be unjust to give birth to children.
[…] it is evident for everyone that conscious life is unconceivable if not in function of a value, that is to say a destiny for one’s existence, one’s heart, one’s wishes. All the rest is secondary to the happiness the heart desires, because marriage can work out well, it can be lucky, but it has its limit and even those who are most deeply in love can end up with a terrible temptation of boredom or disillusion. […] Because everything is so dependent on unforeseeable factors  and what we belong to is a great enigma; and work is welcome, because it doesn’t leave us too much time for thinking!
But a man may ask: “Why do I work?” and the reply will be a social one. But, “What about me and my heart?”. This is why a person I honor, Jesus, said: “What use is it if you get all you want and lose the meaning of yourself?” or, “What can man give in exchange for his own life?”. I believe that the greatest thing in our life are the values. But what is a value? A value is the link, the relationship between my person committed in life, in an action and its destiny.
[…] The greater this feeling of my own dignity, the more I will seek to serve others, to serve society. But the whole life of society is for the person, for me, so that I may walk toward my destiny. Society is an ephemeral destiny in the time of history, but I am relationship with infinity, with the eternal, with everything. […] I believe that all my emotion for my Christian tradition is due to this discovery that it had me make of man, of the value of the individual in which lies the root and foundation of a social peace, of a peace amongst all.
[…]

Another writer of your literature says, “If I have still to stay in this tormented world, then let my friend be only the moon who shines on my sadness when all the friends have gone away”. But if all goes away, it’s not enough to say “That’s how it is”, because man’s heart demands that it not be so. Reason is the awareness of reality according to all its details; and if the death of your friends and your own death is a reality, then the need for happiness and permanence is also a reality in us. A Norwegian poet, the Nobel prize-winner, Pär Lagerkvist, says in one of his poems, “There is no-one who hears the voice imploring in the darkness, than why does the voice exist?”. So the refusal leaves the reality of the question intact, the negative answer is not adequate to reality, the reality outstrips it, it is greater. And the reality of my heart and reason, if it is to remain reason, must accept this. Reason cannot be identified with a depression of the heart that says, “Ah, there’s nothing more”. This is psychosis, pathology. Certainly courage is needed to affirm the whole nature as it is manifested in the heart, in a heart that is educated and reminded, but we’ll see this question later.
What can best help me to understand the heart I have, my human heart? Ask yourselves, please, what is the present rich of? The present is like a nothingness, the richness of the present comes from the past, it’s called tradition. The cult of the ancestors is one of the grandest and most powerful expressions of humanity. […]
The break with tradition, the break with the past, is the break with your own heart. What use is it? Who gains by breaking with the past and therefore by taking away the memory? There is a great writer, the greatest writer of our time, Solzhenitsyn, who in all his great novels affirms a basic idea. Speaking of the Russian people he says, and I quote, “It’s become a people without memory”. A people that has lost its memory is an empty people that is unable to speak to itself, and for this reason Solzhenitsyn speaks of “mute generations”. […] The wealth of the present is the great memory. Who gains by deleting it? In order to tackle the present you need a criterion and a criterion comes to you from the wisdom of the past; if not what is it called? It is called reaction, instinct: you just react, you are just instinctive in the answers. Who gains if man cats by instinct, by reaction and not in the light of a wise hypothesis? What we can call power. Power is something great if it is a service. Serving what? People, persons. But power, when it acts in order to affirm its own ideology or its own conception of things needs people to be as instinctive as possible, as reactive as possible. Why? Because through the instruments of influence, in other words through the mass media and the compulsory school, it passes on its ideology. And this slavery or alienation – that’s what we call it – creates an ideal of life that is called “comfort”. In this way it is hoped to please young people and the young people go along with it, but they grow up without hope and violent, because man is made for a total harmony.
But how can we achieve this relationship, how can we live this total harmony if this is so mysterious and seems so contradictory? Because its voice that is the heart of man is fragile and contradictory. I believe, because of experience, that nothing corresponds more to the soul not only of a young person, but of a man who is living, than conceiving life as a journey.
A reasonable, human journey has two clear factors. First: the certitude of the final positivity of life, because nature cries it out. Without this positivity the violence of power, whether provisional or not, and cynicism in practical life, in other words inhumanity, would be just. Second: the fact that I have not yet reached this certain destiny. Though I don’t know it, I try as I might, seeking to follow the good suggestions in my existence and pardoning myself the mistakes I make a thousand times a day. A certitude and a indomitable tension: this is morality. What is it that expresses this moral tension to the certainty, to the certain but unknown positivity and to this well-known fragility that all the same never gives up? It is called entreaty, begging, begging destiny, whatever it be, because I have to use a word in order to address this wholeness and the greatest word that I have is “you”: you, destiny, whoever you are, I call on you, I ask you. Entreaty is the supreme rational expression. We Christians call it prayer, but the essence of what we call prayer is the entreaty that the Mystery come.
What can help me to maintain, to keep this entreaty dominant over the scepticism characteristic of instinctivity and reactivity? Those who are instinctive or reactive are skeptics. A sceptic doesn’t get involved with life, he gets involved with what he feels. The one who feels life as an entreaty to the Mystery to come, an entreaty to the Mystery to come, an entreaty to destiny to come, gets involved with everything, even with the smallest detail, this is why Jesus, again, said, “Even a word said lightly has an eternal value”. And he said, too, that even the smallest flower of the field has a eternal value. But who will help me to make my life an entreaty to the mystery, instead of disappointing myself, letting myself by deluded in the most resolute and comfortable scepticism? I know only one answer, a companionship. A company of persons who feel this and who help each other. This is the only true friendship. Being together before destiny. This shoul be the meaning of man and of woman: not the illusory falling in love that young people dream of and with which they identify something so great, but being on the same road toward a common destiny, rousing us from our sleep, calling us back from our distraction, not letting us suffocate in our pettiness or wickedness. The world is like a twilight, if you turn your back to the light you say, “It’s all darkness”, but if you turn your back on the darkness you say, “The daylight is coming”. This is life, this is the world. Turning your back on the light or looking toward the light is a decision or a option of freedom, but the choice is not equal. You can’t choose what you like. Because one of the two alternatives is irrational and unjust. The twilight means that the light is there. You can’t say, “It’s not clear: so all is darkness”. For someone who has felt the desire for joy it’s a crime to say that the world is negative. The instant of joy is like a fount of entreaty to the infinite. The company supports you in this. The company is an essential condition for the person to be himself. The company is like the earth where the seed becomes a plant. The company does not substitute, but makes possible. This is why the power that hates and fears a wise tradition is a power that always fears those who get together in companionship to walk toward destiny. Forgive me, but that voice of the universe, of the whole reality that I spoke of appears, makes itself heard in man’s heart, in my tradition, in other words in my past, and the news that he became man has reached me, so that his Presence that is my heart’s companion is here. That the whole, the mystery of the whole has become one like me and keeps me company and my heart rests on it, I have to admit, I have to acknowledge that it is something moving and great. It seems to me an imagination or the greatest hypothesis imaginable. Forgive me this final witness, but the way is not important as long as it’s a way, travelled together with sincerity of heart. And thanks for everything. […]

Notes from a conference of Luigi Giussani during a cultural week dedicated to Italy, organized by the International Cultural Center, Nagoya, Japan, June 17, 1987

lunedì 30 aprile 2012



Due giorni prima del loro 25° anniversario di matrimonio, un ringraziamento ai miei genitori per come sono stati capaci di introdurmi al mondo e alla loro storia, che è diventata anche mia.
Solo ricordandomi di chi sono, posso camminare libera ovunque mi porti la mia strada.

---

Two days before their 25th anniversary, I want to thank my parents for how they have introduced me into the world and into their story, which has become also mine.
Only remembering who I belong to, I can walk freely wherever my way leads to.

venerdì 13 aprile 2012


Oh piccolo principe, ho capito a poco a poco la tua piccola vita malinconica. Per molto tempo tu non avevi avuto per distrazione che la dolcezza dei tramonti. Ho appreso questo nuovo particolare il quarto giorno, al mattino, quando mi hai detto:
"Mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto…"
"Ma bisogna aspettare…"
"Aspettare cosa?"
"Che il sole tramonti…"
 Da prima hai avuto un'aria molto sorpresa, e poi hai riso di te stesso e mi hai detto:
"Mi credo sempre a casa mia!"
Infatti. Quando negli Stati Uniti è mezzogiorno tutto il mondo sa che il sole tramonta sulla Francia. Basterebbe poter andare in Francia in un minuto per assistere al tramonto. Sfortunatamente la Francia è troppo lontana. Ma sul tuo piccolo pianeta ti bastava spostare la tua sedia di qualche passo. E guardavi il crepuscolo tutte le volte che lo volevi… "Un giorno ho visto il sole tramontare quarantatré volte!"
E piu tardi hai aggiunto:
"Sai... quando si è molto tristi si amano i tramonti…"
"Il giorno delle quarantatré volte eri tanto triste?" Ma il piccolo principe non rispose.
 
Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe (cap. VI)
 
 Mi sto rendendo conto che l'essere così lontana da casa, ovvero dai posti che mi sono più familiari, mi costringe a chiedermi perché io ne senta la mancanza - è solo per il vento tra gli ulivi, lo scorrere dei canali, il profilo delle guglie? E mi porta a stare lealmente davanti a quello che ho qui, mentre guardo gli alberi di ciliegio che pian piano mi diventano più vicini.

---

Oh, little prince! Bit by bit I came to understand the secrets of your sad little life . . . For a long time you had found your only entertainment in the quiet pleasure of looking at the sunset. I learned that new detail on the morning of the fourth day, when you said to me:
"I am very fond of sunsets. Come, let us go look at a sunset now."
"But we must wait," I said.
"Wait? For what?"
"For the sunset. We must wait until it is time."
At first you seemed to be very much surprised. And then you laughed to yourself. You said to me:
"I am always thinking that I am at home!"
Just so. Everybody knows that when it is noon in the United States the sun is setting over France.
If you could fly to France in one minute, you could go straight into the sunset, right from noon. Unfortunately, France is too far away for that. But on your tiny planet, my little prince, all you need do is move your chair a few steps. You can see the day end and the twilight falling whenever you like . . .
"One day," you said to me, "I saw the sunset forty-three times!"
And a little later you added:
"You know--one loves the sunset, when one is so sad . . ."
"Were you so sad, then?" I asked, "on the day of the forty-three sunsets?"
But the little prince made no reply.
 
Antoine de Saint-Exupéry, The little prince (6th chapter)
 
I'm realizing that to be such far away from home - that is from places which are familiar to me - forces me to ask myself why I miss them. And it makes me stand loyally in front of what I've got here, while cherry trees are step by step getting closer to me.

sabato 7 aprile 2012



Cari amici,

Finalmente vi scrivo!
Sto bene; l’altro ieri sono arrivata sana e salva nel dormitorio della zona di Tokyo chiamata Suginami dove alloggio con le mie due compagne di viaggio Terezia e Marta, altre mie compagne di corso e vari stranieri (sudamericani, europei dell’est, cinesi, coreani e indonesiani). Il posto non è proprio quello che ci aspettavamo, ma stiamo “prendendo le misure” – sia con l’alloggio che con la città e i suoi abitanti (esageratamente gentili anche se non del tutto comprensibili oppure terribilmente spaventati dal nostro essere stranieri). Anche lo stomaco si abituerà man mano e la lingua si scioglierà.
Cominceremo ad andare a scuola martedì per sostenere alcuni test e quindi venire inseriti nelle classi col giusto livello di lingua.

Anche se è la mia terza volta in Giappone, diciamo che è la prima in cui ho ben chiara una domanda e il primo impatto, un po’ brusco, non fa che ampliare questa domanda. Lo raccontavo ancora a amici vecchi e nuovi durante queste ultime pienissime settimane: a me il Giappone in sé non piace, ma sono venuta a scoprire perché, in qualche modo, sono stata chiamata qui.

Penso vi terrò più o meno aggiornati attraverso questo mio blog, ma ricordatevi che ho bisogno di voi perché tutto quello incontrerò non passi senza toccarmi! Quindi scrivetemi anche voi (al mio indirizzo di gmail).
Nel frattempo, buona Pasqua a voi e a tutti i vostri cari!

Un abbraccio dal Giappone,
Marta

---

Dear friends,

here I am! I decided I’ll try to write something in English too – but I won’t always translate Italian! I’ll ask you in advance to forgive my pooooor  english… :(
 
I’m fine; I arrived to Tokyo two days ago and I’m staying in a dorm with some of my mates from Venice and other foreign students from South America, Eastern Europe, China, Korea, Indonesia, etc. The dorm is not what my friends and I expected, but we’ll manage to make this place familiar. I hope to get soon familiar also with this metropolis and his inhabitants, with food and language.
Next Tuesday we’re having some language tests, then we’ll start our course.

This is my third time in Japan, but this is the first one I have a clear question and this first rude impact has widened this question: I don’t really like Japan, so I’ve come to understand why I’ve been called here.

I think I’ll post every week on this blog, but remember I need your help to stay awake! So, I’ll wait for your news – write me on my gmail address.
In the meanwhile, happy Easter to you and to your families!

Hugs from Japan!
Marta

venerdì 25 marzo 2011


Solo i codardi chiedono al mattino della battaglia il calcolo delle probabilità; i forti e i costanti non sogliono chiedere quanto fortemente né quanto a lungo ma come e dove abbiano da combattere. Non hanno bisogno se non di sapere per quale via e per quale scopo, e sperano dopo, e si adoperano, e combattono, e soffrono, così fino alla fine della giornata, lasciando a Dio gli adempimenti.

Cesare Balbo, da Le speranze d'Italia