[…] Per quanto così
estranee dal punto di vista geografico e anche storico siano le nostre origini,
nessuna lontananza, nessuna diversità può creare tra noi una estraneità totale:
siamo tutti uomini.
C'è una unità tra noi di umana esistenza. […] La prima cosa, guardando il cielo
e la terra e tutto, la prima cosa che colpisce, è che nessun uomo è isolato.
Non si può concepire l'esistenza da sola: si può concepire una cosa da sola, ma
non si può concepire l'esistenza di una cosa da sola.
Da quel poco che so della vostra storia culturale, questo mi sembra un valore
molto sentito. Sto parlando di quella armonia totale, di quella unità tra tutte
le cose per cui ad ogni cosa è possibile vivere. […]
È impossibile trovare una così perfetta espressione del nesso tra tutte le
cose, anche se sono sconosciute. Ma questa armonia grande e totale, questa
unità tra tutte le cose è come se avesse un senso misterioso per la mia vita.
Io non so che cosa significhi per la mia goccia tutto questo mare. La
tradizione spirituale in cui io sono cresciuto mi ha detto che questa armonia
grande e misteriosa ha una voce. Questo è il punto più importante del pensare umano,
perché il rapporto con questa armonia totale è il mio destino. Questa totalità,
questa armonia ha una voce: qual è? È una voce uguale per me, per un
giapponese, per l'uomo di ventimila anni fa, per l'uomo tra un milione di
secoli: è uguale.
Una donna, mettendo al mondo un figlio, gli dà una struttura per cui si capisce
che è un uomo. Ogni uomo che nasce dal ventre di una donna porta una faccia,
una struttura interiore uguale. […]
La voce dell'universo, del tutto di cui noi siamo piccola, infinitesima parte,
questa voce è il cuore dell'uomo.
Guardando le stelle o il mare, innamorandosi di una donna, guardando con
tenerezza i figli, animosamente cercando di conoscere la natura e di usarla,
l'uomo di tutti i tempi, di tutte le razze cerca la felicità: quello che è
vero, quello che è giusto, quello che è bello. I nostri filosofi antichi dicevano:
«Cerca l'essere». Qualunque cosa l'uomo veda nell'universo, nella realtà, gli
suscita il desiderio della bellezza, della bontà, della giustizia, della
felicità. Questa è la voce che l'universo, la totalità realizza: si chiama
"cuore" dell'uomo.
Allora la grande alternativa culturale ed esistenziale è chiara: o questa voce
è senza senso, senza realtà e il cuore dell'uomo non c'è, o tutto ha senso per
il cuore dell'uomo. La nostra voce canta per un perché e la nostra lotta, se
così si può dire, è per destare e per sostenere negli uomini il senso della
positività ultima della vita e del cuore. È per questo rapporto ultimo, è per
questo destino ultimo di felicità che l'uomo, consciamente o no, vive. È per
questo sentimento ultimo di una giustizia reale che l'uomo può sostenere la
fatica di oggi. Senza questa ipotesi sarebbe ingiusto far nascere.
[…] non è concepibile la vita cosciente, consapevole se non in funzione di un
valore, cioè di un destino per la propria esistenza, per il proprio cuore, per
i propri desideri. Perché tutto il resto è surrogato alla felicità che il cuore
desidera, perché il matrimonio può essere indovinato, fortunato, ma ha un suo
termine e anche l'innamoramento più buono, più bello può finire in una
terribile tentazione di noia oppure in una delusione, in una fine piena di
delusione. […] Perché tutto è così sospeso all'imprevedibile ed è un grande enigma
ciò a cui apparteniamo; e sia benvenuto il lavoro, perché non ci lascia troppo
tempo per pensare!
Ma un uomo può domandare: «Perché lavoro?», e la risposta sarà sociale. Ma: «E
io e il mio cuore?». Per questo la persona che io venero, Gesù, diceva: «Che
importa se tu ti prendi tutto quello che vuoi e poi perdi il senso di te
stesso?» o: «Che darà l'uomo in cambio di se stesso?». Io credo che la cosa più
grande nella nostra vita siano i valori. Ma che cos'è un valore? Un valore è il
nesso, il rapporto fra la mia persona impegnata nella vita in un'azione e il
suo destino. […] Quanto più grande è questo sentimento dignitoso di me stesso
tanto più cercherò di servire gli altri, la società. Ma tutta la vita della
società è per la persona, per me, perché io cammini verso il mio destino. La
società è un destino effimero nel tempo della storia, ma io sono rapporto con
l'infinito, con l'eterno, col tutto. […] Io credo che tutta la mia emozione e
commozione per la mia tradizione cristiana sia dovuta a questa scoperta che mi
ha fatto fare dell'uomo, del valore del singolo nel quale sta la radice e il
fondamento di una pace sociale, di una pace fra tutti.
[…] Un altro scrittore della vostra letteratura dice: «Se
devo ancora rimanere in questo mondo travagliato, che mi sia amica solo la luna
che splende sulla mia tristezza quando tutti gli amici sono andati via». Ma se
tutto se ne va, non basta dire: «È così», perché il cuore dell'uomo esige che
non sia così. La ragione è una coscienza della realtà secondo tutte le
sfumature della realtà; e se è una realtà la morte degli amici e di sé, è una
realtà in noi l'esigenza della felicità e della permanenza. Dice un poeta
norvegese, il premio Nobel Pär Lagerkvist, in una sua poesia: «Non c'è nessuno
che oda la voce implorante nelle tenebre, ma perché la voce esiste?». Dunque,
la negazione lascia intatta la realtà della domanda, la risposta negativa non è
adeguata alla realtà, la realtà deborda, è più grande. E la realtà del mio
cuore e la ragione, per mantenersi tale, deve accettare questo. Non si può
identificare la ragione con una depressione dell'animo che dice: «Ah, non c'è
più niente». Questa è psicosi, questa è patologia. Certo, occorre il coraggio
di affermare tutta la natura come si manifesta nel cuore, in un cuore educato,
richiamato, ma lo vediamo tra poco.
Che cosa aiuta di più a capire il cuore che ho, il mio cuore di uomo?
Perdonate: il presente di che cosa è ricco? Il presente è come un niente, la
ricchezza del presente viene dal passato, si chiama tradizione. Il culto degli
antenati è una delle espressioni più grandi, più potenti della umanità.
[…] la rottura con la tradizione, la rottura col passato, è la rottura col
proprio cuore. A chi serve? Chi ha interesse a rompere col passato e quindi a
strappare la memoria? C'è un grandissimo scrittore, il più grande scrittore odierno,
Solzenicyn, che in tutti i suoi grandi romanzi afferma una idea fondamentale.
Parla del suo popolo russo e dice testualmente: «È diventata gente senza
memoria». Un popolo che abbia perso la memoria è un popolo vuoto che non sa più
parlare tra di sé, e per questo Solzenicyn parla di «generazioni mute». […]La
ricchezza del presente è la grande memoria. Chi ha interesse a cancellarla? Per
affrontare il presente occorre un criterio e un criterio ti viene dalla
saggezza del passato, altrimenti come si chiama? Si chiama reazione,
istintività: si reagisce, si è istintivi nelle risposte e basta. Chi ha
interesse che l'uomo agisca per istinto, per reazione e non alla luce di
un'ipotesi saggia? Si chiama potere, è il potere. Il potere è una grande cosa
se è a servizio. A servizio di che? Della gente, delle persone. Ma il potere,
quando agisce per affermare una sua ideologia e un suo concetto delle cose ha
bisogno che la gente sia il più possibile istintiva, il più possibile reattiva.
Perché? Perché attraverso gli strumenti di influsso, cioè attraverso i mass
media e la scuola obbligatoria, fa passare la sua ideologia. E questa schiavitù
o alienazione - da noi così si dice - crea un ideale di vita che si chiama
"comodo". Si crede di far così un piacere ai giovani, la gioventù ci
sta, ma diventa disperata e violenta, perché l'uomo è fatto per l'armonia
totale.
Ma come raggiungere questo rapporto, come vivere questa armonia totale, se essa
è così misteriosa, se sembra così contraddittoria? Perché fragile e
contraddittoria è quella sua voce che è il cuore dell'uomo. Io credo, per
esperienza fatta, che niente corrisponda di più all'animo non solo del giovane,
ma dell'uomo che vive, che concepire la vita come un cammino.
Un cammino ragionevole, umano, ha due fattori chiari. Primo: la certezza della
positività finale della vita, perché la natura la grida. Senza questa
positività sarebbe giusta la violenza del potere, provvisorio o no, e il
cinismo della vita pratica, cioè la disumanità. E, secondo, il fatto che io non
ho ancora raggiunto questo destino certo. Anche se non lo conosco, però io
tendo come posso, cercando di aderire ai suggerimenti buoni della mia esistenza
e perdonandomi continuamente gli errori che compio mille volte al giorno. Una
certezza e un'indomabile tensione: questa è la moralità. Che cosa esprime
questa tensione morale alla certezza, alla positività certa ma ignota e a
questa ben nota fragilità che però non si lascia mai abbattere? Si chiama domanda,
si chiama mendicare, mendicare il destino, chiunque esso sia, perché debbo ben
usare una parola per rivolgermi a questa totalità e la parola più grande che ho
è "tu": tu, destino, chiunque tu sia, io ti invoco, io ti chiedo. La
domanda è l'espressione razionale suprema. Noi cristiani la chiamiamo
preghiera, ma l'essenza di quella che chiamiamo preghiera è la domanda che il
Mistero venga.
Che cosa mi può aiutare a sostenere, a far prevalere la domanda sullo
scetticismo caratteristico dell'istintività e della reattività? L'istintivo e
il reattivo, infatti, sono scettici. Lo scettico non si impegna con la vita, si
impegna con quel che sente. Chi sente la vita come domanda del Mistero, come
domanda al Mistero che venga, al destino che venga, allora si impegna con
tutto, anche col particolare piccolo. Per questo ancora Gesù diceva: «Ha un
valore eterno anche una parola detta per scherzo». E diceva ancora che ha un
valore eterno anche il più piccolo fiore del campo. Ma chi mi aiuterà a rendere
la mia vita domanda del Mistero invece che deludermi, lasciarmi deludere nello
scetticismo più bieco e comodo? Io conosco una sola risposta: una compagnia.
Una compagnia di persone che sentano questo e si aiutino. Questa è l'unica,
vera amicizia. Essere insieme di fronte al destino. Questo dovrebbe essere il
significato dell'uomo e della donna: non l'illusorio innamoramento che i
giovani sognano e in cui identificano una cosa così grande, ma l'essere sulla
stessa via verso il comune destino, richiamandoci dal sonno, richiamandoci
dalla distrazione, non lasciandoci soffocare nella nostra meschinità o viltà.
Il mondo è come una penombra: se uno volta le spalle alla luce, dice: «Tutto è
nero». Se uno volta le spalle all'oscurità, dice: «Siamo all'inizio della
luce». Questo è la vita, il mondo. È una decisione o una opzione della libertà
mettersi con le spalle alla luce o aprirsi alla luce. Ma non è uguale a scelta.
Uno non può scegliere quel che vuole. Perché una delle due scelte è irrazionale
e ingiusta. La penombra vuol dire che la luce c'è. Non si può dire: «Non è
chiaro: tutto, dunque, tutto è tenebra». Per chi ha sentito per un istante il
desiderio della gioia, è un delitto se si dice che il mondo è negativo.
L'istante di gioia è come una sorgente di domanda all'infinito. La compagnia ti
sostiene in questo. La compagnia è una condizione essenziale perché la persona
sia se stessa. La compagnia è come la terra dove il seme diventa pianta. La
compagnia non sostituisce, rende possibile. Per questo il potere che odia, che
ha paura della tradizione saggia, è un potere che sempre ha paura di coloro che
si mettono in compagnia per camminare verso il destino.
Mi perdonino, ma quella voce dell'universo, della realtà tutta di cui ho detto
che appare e si fa sentire nel cuore dell'uomo, nella mia tradizione, cioè dal
mio passato, mi ha raggiunto la notizia che si è fatta un uomo, così che c'è
questa Presenza che è compagnia del cuore. Che la totalità, il mistero della
totalità sia diventato uno come me e mi accompagni e il cuore si appoggi, debbo
ammettere, debbo riconoscere che è una cosa commovente e grande. Mi sembra
un'immaginazione o una ipotesi la più grande a pensarsi. Mi perdonate
quest'ultima testimonianza, ma non importa la via purché sia via, compiuta
insieme con sincerità di cuore. E grazie di tutto.
[…]
Appunti dalla conferenza di Luigi Giussani
tenuta nel contesto della settimana culturale dedicata all'Italia, organizzata
dal Centro culturale internazionale di Nagoya (Giappone), il 27 giugno 1987
---
[…] However
foreign your origins may be from the geographical and even historical point of
view, no distance, no diversity can create a total foreignness between us: we
are all men.
Between us there is a unity of human existence. […] The first thing that
strikes one, on looking at the skies and the earth and everything, is that no
man is isolated. Existence in isolation cannot be conceived: one can conceive
something on its own, but not the existence of something on its own.
From the little I know of your cultural history, this seems to be a value that
is felt very much. I am speaking of that harmony, that unity amongst all things
thanks to which it is possible for all things to live. […]
It is impossible to find such a perfect expression of the nexus between all
things, though they are unknown. But this great and total harmony, this unity
amongst all things seems to have a mysterious meaning for my life. I don’t know
what all this sea means for my little drop. The spiritual tradition in which I
grew told me that this great and mysterious harmony has a voice. This is the
most important point of human thought, because the relationship with this total
harmony is my destiny. This whole, this harmony has a voice: what is it? It is
a voice that is the same for me, for a Japanese, for a man of twenty million
years ago, for a man a million centuries in the future: it’s the same.
When a woman brings a child into the world, she gives it a structure by which
you understand it is a man. Every man that is born from a woman’s womb has a
face, the same interior structure. […]
The voice of the universe, of all of which we are a small, infinitesimal part,
this voice is the heart of man.
When he looks at the stars or the sea, when he falls in love with a woman, when
he looks tenderly at his children, when he strives to know nature and to use
it, man of all ages, of all races is reaching for happiness: what is true, what
is just, what is beautiful. Our ancient philosophers used to say: “Search for
being”. Whatever man sees in the universe, in reality, arouses him desire of
beauty, for goodness, for justice, for happiness. This is the voice which the
universe, the whole realises: it is called man’s “heart”. So the great cultural
and existential alternative is clear: either this voice has no meaning, is not
real and man’s heart does not exist, or everything has a meaning for man’s
heart. Our voice sings with a reason and our struggle, if you can call it that,
is for awakening and sustaining in men
the sense of the ultimate positivity of life and of the heart. It is for this
ultimate relationship, for this ultimate destiny of happiness that man lives , whether
consciously or not. It is for this ultimate feeling of a real justice that man
can endure today’s toil. Without this hypothesis it would be unjust to give
birth to children.
[…] it is evident for everyone that conscious life is unconceivable if not in
function of a value, that is to say a destiny for one’s existence, one’s heart,
one’s wishes. All the rest is secondary to the happiness the heart desires,
because marriage can work out well, it can be lucky, but it has its limit and
even those who are most deeply in love can end up with a terrible temptation of
boredom or disillusion. […] Because everything is so dependent on unforeseeable
factors and what we belong to is a great
enigma; and work is welcome, because it doesn’t leave us too much time for
thinking!
But a man may ask: “Why do I work?” and the reply will be a social one. But,
“What about me and my heart?”. This is why a person I honor, Jesus, said: “What
use is it if you get all you want and lose the meaning of yourself?” or, “What can
man give in exchange for his own life?”. I believe that the greatest thing in
our life are the values. But what is a value? A value is the link, the relationship
between my person committed in life, in an action and its destiny.
[…] The greater this feeling of my own dignity, the more I will seek to serve
others, to serve society. But the whole life of society is for the person, for
me, so that I may walk toward my destiny. Society is an ephemeral destiny in the
time of history, but I am relationship with infinity, with the eternal, with
everything. […] I believe that all my emotion for my Christian tradition is due
to this discovery that it had me make of man, of the value of the individual in
which lies the root and foundation of a social peace, of a peace amongst all.
[…]
Another
writer of your literature says, “If I have still to stay in this tormented world, then
let my friend be only the moon who shines on my sadness when all the friends have
gone away”. But if all goes away, it’s not enough to say “That’s how it is”,
because man’s heart demands that it not be so. Reason is the awareness of
reality according to all its details; and if the death of your friends and your
own death is a reality, then the need for happiness and permanence is also a
reality in us. A Norwegian poet, the Nobel prize-winner, Pär Lagerkvist, says
in one of his poems, “There is no-one who hears the voice imploring in the
darkness, than why does the voice exist?”. So the refusal leaves the reality of
the question intact, the negative answer is not adequate to reality, the
reality outstrips it, it is greater. And the reality of my heart and reason, if
it is to remain reason, must accept this. Reason cannot be identified with a
depression of the heart that says, “Ah, there’s nothing more”. This is
psychosis, pathology. Certainly courage is needed to affirm the whole nature as
it is manifested in the heart, in a heart that is educated and reminded, but
we’ll see this question later.
What can best help me to understand the heart I have, my human heart? Ask
yourselves, please, what is the present rich of? The present is like a
nothingness, the richness of the present comes from the past, it’s called
tradition. The cult of the ancestors is one of the grandest and most powerful
expressions of humanity. […]
The break with tradition, the break with the past, is the break with your own
heart. What use is it? Who gains by breaking with the past and therefore by
taking away the memory? There is a great writer, the greatest writer of our
time, Solzhenitsyn, who in all his great novels affirms a basic idea. Speaking
of the Russian people he says, and I quote, “It’s become a people without
memory”. A people that has lost its memory is an empty people that is unable to
speak to itself, and for this reason Solzhenitsyn speaks of “mute generations”.
[…] The wealth of the present is the great memory. Who gains by deleting it? In
order to tackle the present you need a criterion and a criterion comes to you
from the wisdom of the past; if not what is it called? It is called reaction,
instinct: you just react, you are just instinctive in the answers. Who gains if
man cats by instinct, by reaction and not in the light of a wise hypothesis?
What we can call power. Power is something great if it is a service. Serving
what? People, persons. But power, when it acts in order to affirm its own
ideology or its own conception of things needs people to be as instinctive as
possible, as reactive as possible. Why? Because through the instruments of
influence, in other words through the mass media and the compulsory school, it
passes on its ideology. And this slavery or alienation – that’s what we call it
– creates an ideal of life that is called “comfort”. In this way it is hoped to
please young people and the young people go along with it, but they grow up
without hope and violent, because man is made for a total harmony.
But how can we achieve this relationship, how can we live this total harmony if
this is so mysterious and seems so contradictory? Because its voice that is the
heart of man is fragile and contradictory. I believe, because of experience,
that nothing corresponds more to the soul not only of a young person, but of a
man who is living, than conceiving life as a journey.
A reasonable, human journey has two clear factors. First: the certitude of the
final positivity of life, because nature cries it out. Without this positivity
the violence of power, whether provisional or not, and cynicism in practical
life, in other words inhumanity, would be just. Second: the fact that I have
not yet reached this certain destiny. Though I don’t know it, I try as I might,
seeking to follow the good suggestions in my existence and pardoning myself the
mistakes I make a thousand times a day. A certitude and a indomitable tension:
this is morality. What is it that expresses this moral tension to the
certainty, to the certain but unknown positivity and to this well-known
fragility that all the same never gives up? It is called entreaty, begging,
begging destiny, whatever it be, because I have to use a word in order to
address this wholeness and the greatest word that I have is “you”: you,
destiny, whoever you are, I call on you, I ask you. Entreaty is the supreme
rational expression. We Christians call it prayer, but the essence of what we
call prayer is the entreaty that the Mystery come.
What can help me to maintain, to keep this entreaty dominant over the
scepticism characteristic of instinctivity and reactivity? Those who are
instinctive or reactive are skeptics. A sceptic doesn’t get involved with life,
he gets involved with what he feels. The one who feels life as an entreaty to the
Mystery to come, an entreaty to the Mystery to come, an entreaty to destiny to
come, gets involved with everything, even with the smallest detail, this is why
Jesus, again, said, “Even a word said lightly has an eternal value”. And he
said, too, that even the smallest flower of the field has a eternal value. But who
will help me to make my life an entreaty to the mystery, instead of
disappointing myself, letting myself by deluded in the most resolute and
comfortable scepticism? I know only one answer, a companionship. A company of
persons who feel this and who help each other. This is the only true
friendship. Being together before destiny. This shoul be the meaning of man and
of woman: not the illusory falling in love that young people dream of and with
which they identify something so great, but being on the same road toward a
common destiny, rousing us from our sleep, calling us back from our
distraction, not letting us suffocate in our pettiness or wickedness. The world
is like a twilight, if you turn your back to the light you say, “It’s all
darkness”, but if you turn your back on the darkness you say, “The daylight is
coming”. This is life, this is the world. Turning your back on the light or
looking toward the light is a decision or a option of freedom, but the choice
is not equal. You can’t choose what you like. Because one of the two
alternatives is irrational and unjust. The twilight means that the light is
there. You can’t say, “It’s not clear: so all is darkness”. For someone who has
felt the desire for joy it’s a crime to say that the world is negative. The instant
of joy is like a fount of entreaty to the infinite. The company supports you in
this. The company is an essential condition for the person to be himself. The company
is like the earth where the seed becomes a plant. The company does not
substitute, but makes possible. This is why the power that hates and fears a
wise tradition is a power that always fears those who get together in
companionship to walk toward destiny. Forgive me, but that voice of the
universe, of the whole reality that I spoke of appears, makes itself heard in
man’s heart, in my tradition, in other words in my past, and the news that he
became man has reached me, so that his Presence that is my heart’s companion is
here. That the whole, the mystery of the whole has become one like me and keeps
me company and my heart rests on it, I have to admit, I have to acknowledge
that it is something moving and great. It seems to me an imagination or the
greatest hypothesis imaginable. Forgive me this final witness, but the way is
not important as long as it’s a way, travelled together with sincerity of
heart. And thanks for everything. […]
Notes from a conference of Luigi Giussani
during a cultural week dedicated to Italy, organized by the International
Cultural Center, Nagoya, Japan, June 17, 1987